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Che c’entrano i denti con il Covid?

Immaginare gli organi come entità separate fa comodo. Aiuta a semplificare. Questo è molto utile in alcuni ambiti, specie didattici. Ma la realtà è ben diversa. Gli organi del corpo umano sono, anche se in distretti diversi e distanti, interconnessi da molteplici punti di vista (circolatorio, nervoso, linfatico, endocrino, batteriologico, posturale e così via). Quindi, è ovvio che alcune condizioni patologiche (se non tutte) sono collegate. Questo è confermato già da un’ampia letteratura scientifica. Anche per il Covid-19 e i denti vale la stessa regola.

È interessante, anche per la sua qualità narrativa, oltre che per l’autorevole pubblicazione su Nature, l’editoriale di Tiên Nguyễn intitolato Investigating the mouth–COVID connection

L’articolo evidenzia come gli studi hanno iniziato a collegare il COVID-19 grave a reazioni immunitarie chiamate tempeste di citochine – rilasci eccessivi di molecole infiammatorie da parte del sistema immunitario – che si verificano anche nelle persone con malattie gengivali.

La parodontite ed il COVID-19

Un’altro meccanismo patologico che lega coronavirus e denti è l’infiammazione creata dai batteri che attaccano le gengive e l’osso intorno ai denti. La malattia parodontale (vedi il post su le tasche gengivali) si verifica con l’accumulo di batteri e tossine sulle superfici radicolari dei denti. È la risposta infiammatoria mediata dalla citochine che distrugge il tessuto gengivale adiacente. Il meccanismo patologico è identico a quello della malattia da Sars-Cov-2.

La malattia gengivale è collegata anche ad una serie lunghissima di altre condizioni infiammatorie. Citiamo, tra queste, malattie cardiache, broncopneumopatia cronica ostruttiva e artrite.

La scoperta potrebbe avere importanti implicazioni per i consigli di salute pubblica. Fattori di rischio come il diabete e l’ipertensione richiedono farmaci e cambiamenti nello stile di vita. Le malattie gengivali meno gravi, al contrario, possono essere gestite anche solo con filo interdentale e uno spazzolino da denti.

L’analisi delle malattia parodontale come fattore di rischio per la malattia da COVID-19 evidenzia senza ombra di dubbio un forte correlazione. Chi soffre di questa condizione 3,5 volte più probabilità di essere ricoverato in un’unità di terapia intensiva, 4,5 volte più probabilità di essere sottoposto a ventilazione e 8,8 volte più probabilità di morire rispetto alla popolazione generale.

Inoltre, i campioni di sangue di persone con COVID-19 per diversi biomarcatori noti di infiammazione e ha osservato livelli significativamente più elevati di infiammazione in quelli con malattie gengivali.

Ma trovare una correlazione è solo il primo passo per capire come la salute orale influisca sul COVID-19
Ad esempio, dice, gli scienziati hanno studiato per decenni l’associazione tra parodontite e malattie cardiache e non conoscono ancora il preciso meccanismo di collegamento tra le due condizioni croniche.

Il virus in bocca

Il Covid-19 attacca anche in modo diretto i denti ed i tessuti orali.

Essendo la più grande apertura al corpo, la cavità orale è ben attrezzata con varie difese immunitarie per gestire i patogeni. Tuttavia, i ricercatori hanno visto nei set di dati di sequenziamento dell’RNA che le cellule nella bocca esprimono le proteine ​​ACE2 e TMPRSS2, entrambe necessarie a SARS-CoV-2 per entrare e infettare le cellule ospiti.

Nelle persone con infezioni acute da COVID-19, nonché nelle autopsie di persone morte con la malattia. I ricercatori hanno confermato la presenza delle due proteine ​​di ingresso, nonché delle cellule infette da SARS-CoV-2 nelle ghiandole salivari e nella membrana mucosa che riveste la bocca, in oltre la metà dei pazienti. Sorprendentemente, esistono alti livelli di replicazione virale in alcune cellule delle ghiandole salivari.

Trasmissione dalla bocca

Le prove che dimostrano che la bocca ospita SARS-CoV-2 sono solide e data la presenza del virus in bocca, è possibile che le strategie per abbassare la carica virale in bocca possano ridurre la trasmissione virale.

Il collutorio, in uno studio randomizzato e controllato su circa 200 persone, i ricercatori hanno valutato l’efficacia di quattro diverse soluzioni di collutorio. Hanno scoperto che dopo 15 minuti, tutti e quattro i collutori hanno ridotto la carica virale nei campioni di saliva dei partecipanti fino all’89% e poi fino al 97% dopo 45 minuti.

Gli autori suggeriscono che il collutorio potrebbe aiutare a sopprimere il contagio e ridurre il rischio di trasmissione di SARS-CoV-2 durante gli esami dentistici. Anche se è una pratica relativamente semplice, dice Kumar, solo il 12% circa dei dentisti americani somministra colluttori pre-procedurali.

Anche il semplice collutorio, quindi, è un’arma che indebolisce il legam tra Covid-19 e i denti.

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Ti hanno detto che non hai osso per inserire impianti. Ne sei certo?

Gli impianti dentali si inseriscono nell’osso mascellare e nel corso dei mesi successivi si integrano all’osso stesso per poter poi ancorare dei denti fissi.

La procedura standard per inserire impianti nell’osso mascellare prevede che l’impianto sia inserito dopo aver praticato un foro della dimensione adeguata nell’osso.

Ma cosa succede se la dimensione dell’osso non è sufficiente per inserire l’impianto?

Esistono diverse procedure che permettono di aumentare la dimensione dell’osso prima o durante l’inserzione dell’impianto. Il sistema più frequentemente utilizzato prevede un innesto di osso dello stesso paziente spesso miscelato con matrice ossea sterile bovina o suina stabilizzato con delle piccole viti in titanio e/o con le cosiddette “membrane”. Il prelievo si effettua sull’angolo della mandibola, sul mento o in altre zone del corpo (per esempio la teca cranica). Il periodo di integrazione dell’innesto ovviamente allunga di molto i tempi di guarigione.

È sempre necessaria una procedura di questo genere?

Noi riteniamo di no. Esistono delle tecniche che prevedono l’allargamento dell’osso esistente contemporaneamente all’inserzione dell’impianto. Queste tecniche sono genericamente dette “split-crest”. Negli anni ’90, i dottori Gianni Bruschi ed Agostino Scipioni misero a punto una variante molto speciale di questa tecnica conosciuta con l’acronimo E.R.E. (Edentulous Ridge Expansion). L’effetto fu dirompente nel mondo dentale ed accademico. La split-crest divenne  più agevolmente applicabile ad un numero maggiore di casi e fu inquadrata in modo preciso sia in termini di indicazioni che come procedura. I dottori Bruschi & Scipioni insegnarono la tecnica in tutto il mondo, contrastando anche il mondo accademico che era restio ad accettare una soluzione relativamente semplice per un problema complesso.

Perché la tecnica E.R.E. è relativamente semplice rispetto agli innesti?

L’inserimento di un impianto con la tecnica E.R.E. nella maggioranza dei casi non richiede più tempo rispetto alla tecnica tradizionale. Il tempo di guarigione è analogo ed il post-operatorio è del tutto sovrapponibile. Inoltre, non è necessario un prelievo di osso donatore, ma si usa solo l’osso nativo della zona di inserzione.

Ma è sicura la tecnica E.R.E.?

Assolutamente si. La tecnica E.R.E. è stata valutata efficace e sicura in numerosi studi peer-reviewed pubblicati su importanti riviste internazionali.

La tecnica E.R.E. è la cugina della tecnica L.M.S.F. (Localized Management of Sinus Floor) per l’aumento di osso verticale nei settori posteriori dell’arcata superiore.

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