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Denti e Cervello. Un’epidemia silenziosa.

Che collegamento c’è tra denti e cervello dal punto di vista patologico? In che modo la salute orale è collegata all’encefalo? I collegamenti sono molteplici e sorprendenti. Vediamoli nel dettaglio.

I batteri della malattia parodontale e la malattia di Alzheimer

Il morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza. Si riferisce alla perdita di memoria e di altre abilità intellettuali talmente grave da interferire con la vita quotidiana. Il morbo di Alzheimer rappresenta il 50-80% dei casi di demenza.

La malattia parodontale (o periodontite) è la malattia batterica e infiammatoria che attacca i tessuti di sostegno dei denti, gengiva e osso alveolare. Volgarmente, è nota come “piorrea”, termine vetusto che indica la produzione di pus dai tessuti dentali. Nell’ambito delle implicazioni sulla salute generale, generalmente la malattia parodontale include tutte le malattie infiammatorie batteriche che colpiscono i tessuti intorno ai denti, tra cui anche le malattie dell’apice radicolare (quindi anche gli ascessi dovuti a carie e non solo quelli gengivali).

Diversi studi hanno dimostrato l’aumento dei mediatori dell’infiammazione (TNF-α [tumor necrosis factor-alpha], IL-6 [interleuchina-6] e IL-1β [interleuchina-1beta]) con l’aumento della produzione di Aβ (amiloide beta) e attivazione del sistema del complemento in pazienti affetti da malattie parodontali. L’aumento della cosiddetta “neuro-infiammazione” è il preludio di diverse malattie, tra le quali anche la malattia di Alzheimer. Tutto questo avverrebbe attraverso il passaggio di sostanze infiammatorie originate dai batteri orali, tra cui in particolare i prodotti di degradazione di membrana, nel sangue e poi verso l’encefalo.

I batteri patogeni più direttamente collegati alla malattia di Alzheimer sono il Fusobacterium nucleatum, il Campilobacter rectus, il Porphyromonas gingivalis e l’Actinomyces naeslundii.

Il fatto ancora più sorprendente è il ritrovamento di alcuni patogeni parodontali direttamente nel tessuto cerebrale dei alcuni malati! Si apre quindi la possibilità di un’infezione diretta attraverso il flusso sanguigno e in barba alla protezione offerta dalla barriera ematoencefalica (struttura funzionale interposta fra sangue e tessuto nervoso, che regola selettivamente il passaggio sanguigno di sostanze).

Dal punto di vista epidemiologico, l’Alzheimer è collegato all’edentulia ed a un livello scarso di igiene orale.

È evidente che la prevenzione delle malattie infettive dentali nella fascia più anziana della popolazione ha un’importanza fondamentale per la prevenzione della più frequente forma di demenza senile.

Quanti nonnini disorientati, quante famiglie addolorate potremmo evitare semplicemente insegnando ai meno giovani ad andare regolarmente dal dentista e dall’igienista dentale? È semplicemente una sana abitudine.

Sulle altre forme di demenza senile ci sono meno dati, ma anche in questi casi, tendenzialmente esiste un legame. È logico che anche in questi casi l’infiammazione giochi un ruolo importante, confermando il legame tra parodontite e encefalo.

 
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Denti e cervello: il legame con la depressione maggiore!

La neuro-infiammazione di cui ho parlato nella sezione precedente sembra collegata anche alla genesi della depressione. Questa è l’ipotesi di base.nSembra probabile una relazione tra i biomarcatori della malattia parodontale (tra i quali il cortisolo del solco gengivale, l’interleuchina 6 (IL-6), l’Il-1β, l’immunoglobulina G contro Bacterioides forsythus, e la depressione maggiore. Tuttavia, gli studi sull’uomo hanno mostrato risultati contrastanti. Nella maggior parte degli studi, c’erano rischi di bias a causa della selezione del campione e del protocollo di valutazione. L’eterogeneità degli studi e il numero limitato di studi comparabili che riportano sui biomarcatori condivisi hanno precluso la possibilità di realizzare una meta-analisi (tecnica clinico-statistica con cui vengono assemblati i risultati di diverse sperimentazioni di uno stesso intervento o trattamento, permettendo una valutazione quantitativa cumulativa dei loro risultati).

In conclusione, il contributo immuno-infiammatorio alla depressione è evidente nel contesto delle malattie parodontali infiammatorie, ma è necessario verificare i biomarcatori che mediano le associazioni tra periodontite e depressione attraverso studi metodologicamente rigorosi che mirino specificamente a questa ipotesi per convalidare ulteriormente questa ipotesi patogenetica tra parodontite e encefalo.

Ascessi cerebrali di origine dentale: i batteri della bocca possono arrivare a colonizzare anche i tessuti cerebrali.

Gli ascessi in genere sono raccolte di pus in spazi tissutali confinati, di solito causati da infezioni batteriche. Ovviamente si tratta di condizioni molto gravi sempre. Nel caso degli ascessi cerebrali, l’esito è spesso fatale se non trattati tempestivamente. Ancora una volta il legame patogenetico tra parodontite e encefalo è molto forte.  

Sono più frequenti in età pediatrica. 

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Denti e cervello: Ictus e incidenti cardiovascolari 

Come dimostrato da numerosissimi studi nella parte più alta della piramide della conoscenza scientifica, il rischio cardiovascolare è decisamente aumentato nei pazienti con malattie croniche dentali. Ovviamente, gli incidenti cardiovascolari colpiscono anche l’encefalo. 

 
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cone beamcone beam

Cone Beam. Cos’è?

La Cone Beam è un sistema di Tomografia Computerizzata (da cui l’acronimo CBCT). Il nome deriva dalla forma conica del fascio di radiazioni che l’apparecchiatura emette durante l’esame.

Le immagini della CBCT sono utili particolarmente in campo odontoiatrico. Quando le normali radiografie dentali o facciali non sono sufficienti per un’accurata diagnosi, il vostro dentista ricorre alla CBCT. Le immagini di questo apparecchio sono indispensabili in implantologia, nella chirurgia estrattiva complessa e a volte anche in endodonzia.

La Cone Beam è molto diversa dalla TAC classica, o Fan Beam CT (FBCT).

Il principio della TAC tradizionale FBCT (sopra) e della CBCT (sotto)

Entrambe le macchine emettono raggi X che attraverso la parte del corpo oggetto di esame e colpiscono poi un rilevatore. Nel caso della FBCT la sorgente radiogena e il rilevatore ruotano più volte intorno al corpo, mentre la Cone Beam fa un’unica rivoluzione di 360°. Il fascio conico proietta sul rilevatore un’area molto più grande rispetto alla TAC tradizionale in meno tempo, riducendo la dose di radiazioni assorbita. La minor dose della CBCT dipende anche dal fatto che il fascio radiogeno emesso non è continuo ma intermittente. In definitiva, la dose assorbita dal paziente è almeno 10 volte inferiore.

Un altro grande vantaggio è che i CBCT sono apparecchi di dimensioni contenute rispetto ai FBCT, adatti a un uso ambulatoriale. Inoltre, i moderni Cone Beam sono dotati di programmi per realizzare anche le altre radiografie extraorali odontoiatriche.

Gli svantaggi di questa tecnologia, sempre rispetto alla FBCT, sono una minor capacità di risoluzione tra tessuti con simile densità (muscoli, linfonodi, ghiandole, etc.) e gli artefatti da presenza di metalli e da rumori di fondo (dovuti alla bassa dose radiogena).

Chi ha inventato la Cone Beam?

Nonostante l’ambiente politico che tutti conosciamo e che certo non favorisce la ricerca, gli italiani riescono spesso a distinguersi. Il gruppo di ricerca costituito da Giordano Ronca, Piero Mozzo, Daniele Godi e Attilio Tacconi sviluppò la prima Cone Beam, il NewTom 9000, commercializzato nel 1996 dalla QR di Verona.

Quando è consigliabile usare la Cone Beam?

Nell’ambulatorio odontoiatrico si usa esclusivamente per l’ambito terapeutico specifico e solo quando è indispensabile e indifferibile. Per tutte le altre esigenze e per la redazione di referti è necessario rivolgersi a un centro radiologico. 

Tuttavia, un centro odontoiatrico serio e moderno, certamente non può non avere questo macchinario al suo interno se vuole offrire la massima sicurezza ai pazienti. 

Per esempio, la Cone Beam potrebbe essere indispensabile per valutare il corretto posizionamento di un impianto, e non averla a disposizione durante l’operazione è potenzialmente un problema per il chirurgo. 

Inoltre la Cone Beam spesso evidenzia l’origine di dolori e/o infezioni di probabile a genesi dentale o mascellare e non visibili con altri indagini diagnostiche o  tumori della mascella e infezioni silenti (granulomi, cisti, etc).

Come devo prepararmi?

Un esame Cone Beam non richiede una preparazione speciale.

Prima dell’esame, devi rimuovere tutto ciò che potrebbe interferire con i raggi X, inclusi oggetti metallici, come gioielli, occhiali, forcine per capelli e apparecchi acustici.

Le donne devono sempre informare il proprio dentista o chirurgo orale se esiste la possibilità che siano incinte.

Il tuo dentista ti posizionerà accuratamente con l’aiuto di un laser in modo che l’area d’interesse sia centrata nel raggio. Dovrai rimanere immobile mentre la macchina ti ruota intorno. Questo richiede 20-40 secondi per un volume completo e meno di 10 secondi per una scansione parziale.

La Cone Beam è una procedura assolutamente indolore e nessuna radiazione rimane nel corpo dopo un esame TC.

Che aspetto ha l’apparecchio?

Le moderne CBCT sono relativamente piccole e somigliano agli apparecchi radiografici dentali tradizionali. Alcune sono dotate di poltroncina o di lettino, ma nella maggioranza dei casi sono molto simili all’ortopantomografo e l’esame si esegue in posizione eretta

Chi interpreta i risultati?

Il tuo dentista, il chirurgo orale o il chirurgo maxillo-facciale interpreteranno essi stessi i risultati quando sono loro a eseguire l’esame per le necessità legate al proprio lavoro specialistico. E ovviamente ti informeranno dettagliatamente sui risultati.

Quando è necessario, invece, avere un referto scritto, occorre rivolgersi a un Medico Chirurgo specializzato in Radiodiagnostica. Di solito, questi specialisti operano in centri dedicati alla radiologia.

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la carie | radiografie di controllola carie | radiografie di controllo

La carie cos’è?

La carie è la distruzione del tessuto dentale ad opera di batteri cariogeni e dei loro prodotti metabolici. Appena i denti erompono nel cavo orale, i batteri della bocca ci si attaccano e si moltiplicano. Se lasciati indisturbati, formano rapidamente uno strato bianco appiccicoso, chiamato placca o biofilm, sulla superficie del dente.

La dieta e la carie dentale

I batteri cariogeni prosperano grazie agli zuccheri presenti nella nostra dieta. Ogni volta che mangiamo o beviamo cibi zuccherati, i batteri consumano gli zuccheri e rilasciano acidi, che dissolvono lo smalto. Se il biofilm cresce indisturbato a causa dell’insufficiente igiene orale, l’acido fora lo strato di smalto e così i batteri raggiungono lo strato più morbido di dentina, provocando la carie profonda. 

La saliva è la prima difesa naturale dell’organismo contro la carie. Essa contiene composti che neutralizzano gli acidi batterici e contiene anche minerali che possono riparare e rafforzare lo smalto.    

La carie e l’igiene

La carie si sviluppa più frequentemente nelle aree in cui la placca non viene disturbata dalle manovre di igiene orale. Queste sono più spesso le superfici meno accessibili dei denti posteriori e quelle tra un dente e l’altro. Tecniche appropriate di spazzolamento e di pulizia quotidiana interdentale (con filo o scovolino) ridurranno drasticamente il rischio di carie in questi siti. 

Anche le superfici dei denti che ripetutamente esposte agli zuccheri sono a maggior rischio di sviluppare carie. Un esempio di ciò è la carie del biberon, che si verifica quando neonati e bambini piccoli sono nutriti con bevande contenenti zucchero come latte artificiale e succhi di frutta. La tettarella del biberon concentra i liquidi zuccherini intorno ai denti anteriori che possono sviluppare carie dolorose e antiestetiche. Per evitare che questa condizione si sviluppi, i bambini dovrebbero bere solo latte e acqua. Dovrebbero, inoltre, usare una tazza a flusso libero il prima possibile, idealmente entro il primo anno. I genitori dovrebbero aiutarli a spazzolare i denti due volte al giorno non appena essi spuntano.

La carie: le fasi

Fase superficiale (carie dello smalto)

Questo è un processo lento e reversibile che di solito richiede diversi anni per essere completato. Tuttavia, è veloce nei denti di latte perché hanno uno smalto più sottile. L’acido prodotto dal biofilm e le difese naturali sono in equilibrio. Pochi minuti dopo aver mangiato uno spuntino zuccherato, i batteri nella placca scompongono gli zuccheri ed espellono l’acido direttamente sulla superficie del dente. L’acido demineralizza e dissolve il minerale dallo strato di smalto per circa 15 minuti prima che la saliva sia in grado di neutralizzare l’acido e iniziare a riparare o remineralizzare la superficie dello smalto.

Questo processo d’indebolimento e riparazione dello smalto può continuare all’infinito senza mai passare alla fase successiva. Alcuni dentifrici e collutori contengono minerali, come il fluoro, che possono rafforzare lo smalto e renderlo più resistente agli acidi della placca. Concentrazioni più elevate di fluoro possono anche essere applicate dal dentista, sotto forma di gel.

A volte questo processo genera la carie secca, una macchia nera o marrone sullo smalto superficiale. La carie secca è una carie superficiale remineralizzata che solitamente non progredisce più allo stadio successivo. Tuttavia, spesso è antiestetica.

Fase profonda (carie della dentina)

La carie passa alla seconda fase quando si verifica più demineralizzazione dello smalto rispetto alla remineralizzazione, con una perdita netta di sostanza. Se questo è il caso, lo smalto alla fine si indebolirà e si sgretolerà abbastanza da consentire a batteri e tossine di attraversarlo e invadere la dentina sottostante. La dentina è più morbida dello smalto ed è composta da minuscoli tubi (tubuli dentinali). I batteri cariogeni invadono molto più velocemente la dentina rispetto allo smalto. Quando una vasta area della dentina è demineralizzata e ammorbidita, lo strato di smalto sovrastante collassa verso l’interno e forma una cavità del dente.

Quando i batteri invadono la dentina, il dente ha una capacità limitata di proteggere la polpa producendo un nuovo strato di dentina (dentina terziaria o di reazione), che permette, talvolta, di curare il dente senza ricorrere al trattamento endodontico.

La carie dentaria (carie dentaria) è la malattia orale più comune al mondo. Sebbene sia una malattia perfettamente prevenibile, quasi nove adulti su dieci e più di cinque bambini su dieci di età inferiore ai 16 anni hanno una qualche esperienza di carie. Ciò è principalmente dovuto all’elevata quantità di zuccheri semplici o carboidrati raffinati tipici della dieta moderna unitamente a una scarsa attitudine all’igiene orale.

Sebbene le conseguenze della carie siano raramente pericolose per la vita, può avere effetti devastanti sia dal punto di vista medico che relazionale.

La carie dello smalto è asintomatica. Ed è per questo che è insidiosa. Solo quando la carie è progredita abbastanza in profondità nella dentina da causare uno dei seguenti scenari la maggior parte delle persone si rende conto di avere un problema dentale.

Spesso, se la carie non è prontamente intercettata con una diagnosi precoce, lo smalto sottominato si frattura durante la masticazione con la formazione di una cavità. Fino a quando ciò non accade, la carie rimane silente. Il paziente imputerà la frattura al cibo o a un precedente ricostruzione.

Un’altra possibilità è che la polpa sviluppi uno stato infiammatorio a causa dell’acido e delle tossine rilasciate dai batteri. Questa condizione è detta pulpite. Il dente affetto da pulpite è sensibile a cibi e bevande caldi o freddi e allo zucchero (per le proprietà osmostiche). Se l’infezione continua a progredire sviluppa un ascesso all’apice del dente. In tal caso, il dente diventa mobile e dolente alla masticazione.

L’importanza dei controlli regolari

Ecco perché i controlli regolari dal vostro dentista sono così importanti. Il team odontoiatrico è specializzato nell’identificazione dei primi segni di carie, come aree gessose biancastre o grigie ombrose sulle superfici masticatorie o tra i denti, e quindi consigliare le misure terapeutiche appropriate.

La carie dentale avanzata, di solito, provoca un’infiammazione grave e anche necrosi della polpa. Di solito, la necrosi avviene dopo un periodo di pulpite dolorosa. Occasionalmente si verifica in denti che hanno sentito poco o nessun dolore. Quando i batteri infettano lo spazio della polpa, si moltiplicano e si diffondono fino osso all’estremità della radice del dente. Qui si forma un “ascesso periapicale” che rende il dente estremamente dolente al contatto. Paradossalmente, il dolore migliora quando è stato distrutto abbastanza osso per consentire all’infezione intrappolata di defluire attraverso un passaggio chiamato fistola. Il trattamento per un ascesso periapicale è il trattamento endodontico (canalare).

la carie | profondità
Schema delle diverse profondità della carie dentale ©DrBruschi

Durante la visita, il tuo dentista utilizzerà luci intense, specchi, getti d’aria e apparecchiature ingrandenti per ispezionare tutte le superfici dei denti alla ricerca di segni di carie. Il dentista esaminerà anche le labbra, le guance, la lingua e gli altri tessuti molli della bocca. Questo per verificare la presenza di segni di altre condizioni come tumori o infezioni.

Lo scenario migliore per il trattamento della carie è identificare la lesione il prima possibile per ridurre al minimo la necessità di grandi ricostruzioni. Le lesioni dello smalto possono rimanere intatte indefinitamente e potrebbero non richiedere mai un’otturazione fintanto che vengono mantenute pulite e rinforzate con fluoro da dentifricio, collutorio o applicazioni periodiche dal tuo dentista.

L’intervallo tra i tuoi controlli dipenderà dal tuo livello di rischio dentale e dalla tua storia dentale. Se hai pochissime otturazioni e pratichi un buon livello di igiene orale, potresti aver necessità di un controllo di ogni 6-12 mesi. Se hai molte otturazioni e continui a sviluppare nuove cavità ogni anno, potrebbe essere necessario essere visto ogni 6 mesi.

Se necessario, il dentista potrebbe consigliarti una radiografia. Ciò consente di identificare precocemente minuscole aree di indebolimento dello smalto tra i denti. Ciò a sua volta significa che possono essere trattati in modo appropriato per impedire che si sviluppino nelle carie dentali. Le radiografie dentali vengono generalmente ripetute a intervalli regolari per monitorare l’andamento di piccole lesioni precedentemente identificate e per verificare la presenza di nuove aree di carie. L’intervallo tra i controlli radiografici non è uguale per tutti e dipende dal livello di rischio ed è compreso tra i 6 e i 24 mesi.

Questo di solito dipende dall’entità della carie e dalle condizioni della polpa: è viva, infiammata o morta? Lo scopo del trattamento è rimuovere la carie esistente, ripristinare i denti danneggiati e rimuovere i fattori che intrappolano la placca favorendo un’ulteriore carie.

Quando la carie è penetrata nella dentina è necessario rimuovere la dentina infetta e sostituire il tessuto malato rimosso con un’otturazione. La scelta del materiale di riempimento dipende solitamente ricade sui moderni compositi. Da evitare le otturazioni in amalgama d’argento.

Se la carie ha colpito la polpa, potrebbe essere necessario proteggerla con medicazioni speciali o rimuovere una polpa infetta o necrotica eseguendo un trattamento canalare (endodonzia).

Se la carie è troppo estesa e non rimane abbastanza tessuto dentale sano, è necessaria l’estrazione.

Considerando la natura evitabile della carie dentale, questo è un classico esempio di “Prevenire è meglio che curare”.

Oltre a fornire consigli su dieta, strumenti per l’igiene dentale e tecniche di pulizia migliorate. Il tuo team odontoiatrico può anche suggerire l’uso di vernici al fluoro e collutori per rafforzare le aree di smalto indebolito.

I controlli periodici sono importanti. Generalmente si abbinano alle sedute di igiene professionale nell’ambito del programma di mantenimento.

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Come si curano le tasche gengivali?

Le tasche gengivali – più precisamente parodontali – sono una delle caratteristiche cliniche più comuni delle malattie parodontali (dei tessuti di sostegno dei denti, gengiva e osso alveolare). Solitamente, sono accompagnate da altri sintomi caratteristici di queste malattie.

A volte il paziente si accorge che ogni volta che spazzola i denti perde molto sangue dalle gengive. E pensa, spesso, che la causa del sanguinamento sia una forza eccessiva o uno spazzolino con setole troppo rigide. Niente di più sbagliato. La perdita di sangue è dovuta alla fragilità del tessuto intorno a denti, il quale è già ulcerato a causa delle lesioni infettive.

In altri casi, improvvisamente il paziente si rende conto che i denti sono allungati. Le gengive sono ritirate. Gli spazi tra un dente e l’altro sono più aperti, con la comparsa di triangoli neri. Il cibo si insinua più facilmente tra un dente e l’altro.

Altre volte ancora, la persona affetta da queste patologie avverte un’aumentata mobilità dei denti. E questo è spesso un fulmine a ciel sereno per chi non ha mai fatto un controllo accurato dei tessuti di sostegno dei denti. Sovente, infatti, queste malattie sono asintomatiche. Spesso, il dolore è assente o sporadico. E allora il paziente scopre improvvisamente che i denti sono mobili e quando il dentista fa una diagnosi grave è, naturalmente, incredulo.

Le tasche gengivali nell’ambito delle malattie parodontali

Come specificato sopra, le tasche gengivali sono solo uno degli aspetti clinici delle malattie parodontali (o parodontite). Le tasche sono sostanzialmente un approfondimento patologico del solco gengivale. Il solco gengivale normale è lo spazio (solitamente virtuale se non si spostano i tessuti, come durante le manovre d’igiene) tra il dente e la gengiva. Il solco gengivale normale è profondo tra uno e tre millimetri. Oltre i tre millimetri diventa una tasca.

La tasca, favorisce per ovvi motivi (la profondità) la proliferazione indisturbata di batteri patogeni al suo interno e, conseguentemente, la parodontite. Ed è la stessa parodontite che, approfondendosi dal solco, crea le tasche gengivali.

La sintomatologia acuta

Come già spiegato, la parodontite è più spesso asintomatica o paucisintomatica. In tal caso si tratta di un’infezione cronica. Tuttavia, la tasca gengivale può sviluppare un’infezione acuta chiamata ascesso gengivale. In questo caso compare il sintomo dolore, accompagnato o meno da gonfiore e febbre.

Quante sono le tasche?

Le tasche sono più spesso multiple perché rappresentano uno dei sintomi di un’infezione (parodontite) che colpisce tutti i denti su tutte le superfici. Allo stesso tempo, la parodontite è sito-specifica. Può colpire, per esempio, un lato di un dente e non l’altro. Questo è scarsamente sorprendente quando si considera che l’accumulo del biofilm batterico (placca e tartaro) sulle superfici dei denti è disomogeneo.

Cura delle tasche gengivali

La cura di base è quella comune a tutte le forme di malattia parodontale: l’eliminazione del biofilm (placca batterica e tartaro). Eliminare il biofilm equivale a eliminare l’infezione perché è proprio il biofilm stesso l’origine della stessa. Tuttavia, come vi spiegheranno egregiamente il vostro dentista e il vostro igienista dentale, l’eliminazione totale della placca e del tartaro è tecnicamente difficile nelle tasche gengivali più profonde.

In ogni caso, la terapia di base per la cura delle tasche gengivali sono l’igiene professionale, la levigatura radicolare e la GBT. Questa terapia è sufficiente a risolvere i casi di tasche moderatamente profonde, sopratutto nelle zone anteriori.

Cura delle tasche più profonde

In questo caso, è sovente necessario intervenire chirurgicamente con innesti di osso del paziente stesso o di origine animale. Anche i prodotti con osso di origine animale sono sicuri. Essi mantengono solo la componente minerale originale, senza la componente proteica (che potrebbe impedire l’integrazione) e sono, ovviamente, sterili.

È sempre possibile la cura delle tasche gengivali?

La possibilità di cura dipende dalla gravità della parodontite. Se la malattia è troppo avanzata è spesso preferibile passare ad altre terapie. Nel dubbio, fate un controllo dei tessuti parodontali presso lo studio del vostro dentista.

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Otturazioni in amalgama d’argento. Mi devo preoccupare?

Le otturazioni metalliche realizzate con un composto chiamato amalgama d’argento erano lo standard fino a pochi anni fa. Il temine amalgama indica genericamente la “fusione di elementi eterogenei o contrastanti in un’unica entità o in un effetto o funzione d’insieme”.

Le otturazioni con misture metalliche hanno origini antichissime. Se ne parla per la cura dell’Imperatore in Cina durante la dinastia Tang (ca. 600 DC).

Nel XIII secolo in Francia il padre della moderna odontoiatria Pierre Fauchard, realizzava otturazioni in piombo, sfruttando la sua grande malleabilità. Forse nasce da questo il termine piombatura. Le otturazioni in piombo, tuttavia, duravano poco. Il materiale fu rapidamente scartato quando si scoprì che è velenoso.

Lo sviluppo dell’amalgama d’argento moderna

Joseph Bell, un celebre chimico Britannico, sviluppò la prima amalgama d’argento nel 1819. Prese il nome di mastice di Bell.

Edward Crawcour e suo nipote Moses la introdussero nel continente nordamericano nel 1833, sotto nome di Royal Mineral Succedaneum.
I Crawcour, grazie a una efficace pubblicità, accumularono rapidamente una fortuna. Eseguirono otturazioni a moltissimi Americani (almeno metà della popolazione di New York). Incassarono circa 60.000 dollari, equivalenti a quasi due milioni odierni. Tuttavia, le e otturazioni dei Crawcour erano poco affidabili a causa di una tecnica non attenta. Questo generò una pessima reputazione per l’amalgama d’argento.
I Crawcour furono costretti a fuggire (con il malloppo) quando dei dentisti Americani scoprirono che il composto conteneva mercurio. La American Society of Dental Surgeons dichiarò guerra all’uso dell’amalgama e chiese a tutti i membri d’impegnarsi a non usarla firmando un documento chiamato Amalgam Pledge. Coloro che si rifiutarono di firmare furono espulsi.

Nel 1896, G.V. Black condusse uno studio sistematico delle proprietà e della manipolazione appropriata dell’amalgama e della sua relazione con la preparazione della cavità. Da allora l’amalgama d’argento divenne progressivamente un materiale da restauro affidabile.

I dubbi sulla tossicità delle otturazioni in amalgama d’argento

Nel corso degli anni molti medici hanno sollevato dubbi sulla tossicità dell’amalgama d’argento, mettendo in dubbio le direttive ufficiali delle varie organizzazioni governative e sanitarie. In sostanza, le organizzazioni ufficiali consideravano ancora inattendibili gli studi scientifici emergenti sulla tossicità del materiali.

Nel mondo, alcuni importanti servizi giornalistici suscitarono grande clamore, portando il problema all’attenzione del grande pubblico. In Italia, il merito va in primis ad un famoso servizio di Report del 1997, seguito da una seconda puntata ancora più interessante. Anche Le Iene si sono spesso occupate dell’argomento.

Tutto questa mobilitazione dei media e dell’opinione pubblica ha spinto le istituzioni Europee a prende provvedimenti contro l’amalgama d’argento come spiegato nel nostro precedente articolo.

La dimostrazione scientifica della tossicità delle otturazioni in amalgama d’argento

Le principali fonti di mercurio nell’uomo sono le amalgame dentali e la catena alimentare. Il costante rilascio di mercurio e la sua presenza nella saliva, nonché il consumo aggiuntivo di pesce e prodotti ittici contaminati, costituiscono un rischio grave per l’uomo. Sebbene gran parte del mercurio dannoso venga escreto, parte di esso viene accumulato e biotrasformato in composti organomercuriali (metilmercurio). Questi raggiungono il cervello, dove possono persistere per anni. Altri organi bersaglio sono i reni, le ghiandole esocrine, il fegato, il tratto gastrointestinale. A causa di tale esposizione acuta o cronica, molte condizioni patologiche sono state attribuite alla tossicità del mercurio.

Un recente studio autoptico, dimostra che gli individui con più di 12 otturazioni in amalgama hanno livelli di mercurio più di 10 volte superiori in diversi tessuti, incluso il cervello, rispetto agli individui con solo 0-3 otturazioni in amalgama. Inoltre, il livello medio di mercurio nel cervello dei cittadini dell’UE con più di 12 otturazioni in amalgama era di 300 ng (nanogrammi) per grammo di tessuto cerebrale, che è ben al di sopra dei livelli di mercurio che sono tossici in vitro sui neuroni (0,02 -36 ng Hg/g).

Il Morbo di Alzheimer e il caso Germania

Circa il 20% delle persone nella fascia di età di 20 anni, il 50% delle persone nella fascia di età di 50 anni e il 90% delle persone nella fascia di età di 85 anni che vivono in Germania mostrano alterazioni patologiche nel cervello che sono tipiche per Morbo di Alzheimer e tossicità da mercurio. Questa incidenza dei cambiamenti patologici cerebrali causati da livelli (molto bassi) di mercurio negli esperimenti è simile alla percentuale di Tedeschi con otturazioni in amalgama (circa l’80-90% negli anziani). Il 30-50% dei tedeschi di età superiore agli 85 anni ha il morbo di Alzheimer (AD) e ci sono molti indizi che il mercurio svolga il ruolo patogenetico principale nell’Alzheimer.

Le otturazioni in amalgama d’argento e la tossicità renale

Una recente revisione della letteratura scientifica disponibile, che raccoglie i dati di diversi studi randomizzati susseguitesi negli anni, dimostra la tossicità dell’amalgama sulla funzione renale. Questa problematica è particolarmente evidente nei bambini.
I risultati di questa revisione concordano con le raccomandazioni della Convenzione di Minamata adottate dalla World Dental Federation (FDI) nel 2018 secondo cui i restauri in amalgama non dovrebbero essere utilizzati per il trattamento della carie ove siano disponibili altri materiali da restauro adatti, soprattutto nei pazienti giovani.

L’amalgama d’argento e la gravidanza

Vista la tossicità cerebrale e renale, è del tutto evidente che fare (o rimuovere senza le dovute accortezze) otturazioni in amalgama in una donna in attesa è sconsigliato. Un recente studio scientifico mette addirittura in relazione la presenza di un numero elevato di ricostruzioni in amalgama nella gestante con la morte perinatale del nascituro.

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tossicità del fluoro usato nei bambinitossicità del fluoro usato nei bambini

Devo dare il fluoro al mio bambino?

In una parola: “No”. Il modo sicuro per usare il fluoro per i denti dei bambini è applicarlo con dentifrici ed eventualmente con gel specifici ad alta concentrazione dal vostro dentista.

Il fluoro in piccole quantità è ottimo per la saluta futura dei denti. In presenza di fluoro, infatti, esso è inglobato chimicamente dai denti in formazione. La parte minerale dei denti (e delle ossa) si chiama idrossiapatite. Se la gestante o il bambino assumono fluoro, parte degli ioni idrossile (OH¯) dell’idrossiapatite sono sostituiti da ioni fluoruro (F¯). Questa è la fluorapatite.

La presenza di una certa quota di fluorapatite, rende lo smalto intrinsecamente più stabile dal punto di vista termodinamico. La sua resistenza aumenta da tutti i punti di vista.

Quindi sicuramente il fluoro per i denti dei bambini è ottimo per quanto riguarda la salute dei denti stessi.

La tossicità del fluoro

Il fluoro, tuttavia, se somministrato in eccesso è tossico sia per i denti che per molti altri tessuti. Il problema è che il fluoro è già assorbito sia dalla gestante che dal bambino in vari modi (acqua, latte, alimenti, dentifrici e altro). L’aggiunta di fluoro anche solo nella stessa acqua potabile è considerato troppo rischioso per la salute da un numero crescente di paesi nel mondo (tra i quali Austria, Belgio, Cina, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, India, Israele, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Scozia e Svezia). In Italia l’acqua potabile contiene già tracce di fluoro e per questo motivo non è mai stata effettuata un aggiunta di tale elemento (vedi la nota dell’ISS).

L’eccesso di fluoro durante la crescita

L’esposizione a quantità eccessive di ioni fluoruro in età precoce è una possibile causa di malattia in età avanzata. Enesco e Leblond individuano tre fasi nella crescita. Nella prima la crescita degli organi è dovuta alla rapida proliferazione cellulare (iperplasia). Questo è definito periodo critico. Nella seconda fase la proliferazione cellulare continua a un ritmo più lento e la dimensione cellulare aumenta. Nella terza la proliferazione cellulare si interrompe mentre l’allargamento cellulare continua (ipertrofia).

La fase più rischiosa per l’accumulo è l’ipertrofia. Questa fase avviene in momenti diversi nei vari organi. Ad esempio, l’aumento il numero di cellule cesserà molto prima nel cervello rispetto a quello delle ghiandole salivari. Questo è il motivo per cui quando lo stress nutrizionale precoce viene applicato durante un certo periodo del periodo di crescita, alcuni organi sarebbero colpiti più di altri. L’assunzione eccessiva da parte dei piccoli di un ingrediente come il fluoro, che si trova nella maggior parte dei dentifrici e anche in altre sostanze, potrebbe provocare uno degli stress nutrizionali durante il periodo critico di crescita. Secondo l’ipotesi di Barker “ricordi” dell’organismo di esposizione precoce ad varie sostanze possono tradursi in patologia e quindi determinare la malattia in età avanzata.

Il fluoro ed il quoziente intelletivo

Somministrare il fluoro per i denti dei bambini è potenzialmente rischioso per molti organi. Il cervello in via di sviluppo è molto più suscettibile allo stress nutrizionale rispetto al cervello adulto. Il fluoro è certamente neurotossico. La barriera ematoencefalica che protegge il cervello adulto non si forma completamente fino a circa sei mesi dopo la nascita ed il fluoro attraversa in ogni caso. Studi epidemiologici suggeriscono come in alcuni paesi la fluorazione dell’acqua potabile, in aggiunta ad altre fonti di fluoro (per esempio il tè), può essere all’origine di una diminuzione del quoziente intellettivo (QI).

Il fluoro e l’autismo

La prevalenza dei disturbi dello spettro autistico è più elevata nei paesi con fluorazione delle acque e nelle aree endemiche di fluorosi. Questo, ovviamente, suggerisce che il fluoro sia un importante fattore ambientale nell’eziopatogenesi dell’autismo. Come già ricordato sopra il fluoro è neurotossico. F¯ induce disfunzione mitocondriale, stress ossidativo, infiammazione e immunotossicità. Esiste un legame tra un noto effetto di F¯ sulla sintesi di melatonina nella ghiandola pineale e la scoperta che la sintesi di melatonina è significativamente ridotta nell’autismo. Inoltre, la comprensione dei percorsi indotti dal fluoruro nell’eziopatologia dei disturbi dello spettro autistico può portare a nuovi trattamenti. Tutti questi meccanismi generati dal fluoro potrebbero evocare diverse interruzioni dello sviluppo cerebrale, alterare la neurotrasmissione e le regolazioni ormonali.

Al momento, c’è una divergenza tra la pratica sanitaria pubblica della fluorizzazione dell’acqua in alcuni paesi, che è considerata preziosa e sicura per ridurre la carie dentale, e le attuali prove scientifiche, che indicano che il fluoro è una neurotossina che disturba lo sviluppo cerebrale prenatale e postnatale, erodendo l’intelligenza e comportamento. In un recente studio canadese, l’esposizione materna a livelli più elevati di fluoruro durante la gravidanza è stata associata a punteggi di QI più bassi nei bambini di età compresa tra 3 e 4 anni.

La presenza di tracce di alluminio in forma cationica (Al3+) potenzia fortemente gli effetti neurotossici di F¯. La molecola risultante AlF4¯ può innescare i sintomi patologici dell’autismo a concentrazioni diverse volte inferiori a quelle del solo fluoruro (F¯). In sinergia con Al3+ anche una piccolissima concentrazione di fluoro potrebbe essere pericolosa per il cervello in via di sviluppo.

Per ulteriori approfondimenti sul fluoro e l’autismo seguire questo link.

Il fluoro e la ghiandola pineale.

Tapp e Huxley hanno scoperto che quantità significative di calcio sono presenti nelle ghiandole pineali dei bambini. Inoltre, il peso più elevato delle ghiandole femminili potrebbe essere in parte dovuto al loro contenuto di calcio più elevato. La ghiandola pineale è un tessuto mineralizzante e le concrezioni calcificate sono composte da idrossiapatite, che in presenza di fluoruro è sostituita da fluorapatite. La ghiandola pineale produce melatonina, un ormone correlato a impostare i ritmi e la durata del sonno. Il grado di calcificazione è stato associato a una ridotta secrezione di melatonina. Pertanto, ciò potrebbe comportare il disturbo dei ritmi circadiani e del sonno. L’immagine di copertina dimostra la calcificazione della ghiandola pineale in un adulto (Italiano) sottoposto a terapia preventiva con compresse di fluoro in età infantile.

Il fluoro e la malattie ossee.

In alcune regioni dove avviene il fluoro è ancora aggiunto all’acqua potabile, i livelli di calcitonina e osteocalcina sono alterati nei bambini fino a sei anni. La relazione tra fluoro e tumori ossei, invece, è stata proposta, ma mai dimostrata.

Il fluoro e la tiroide.

Recentemente è stata dimostrata per la prima volta una chiara relazione tra fluorosi e disturbi da carenza di iodio. L’esposizione prolungata a concentrazioni relativamente elevate di fluoro (3-6mg/giorno) eleva il TSH ed altera i livelli plasmatici di T3 e T4.

Il fluoro e le possibili origini fetali di malattie dell’adulto.

La nutrizione fetale svolge un ruolo importante per i neonati e influisce sulla salute durante l’infanzia e l’età adulta. È ben riportato negli studi epidemiologici che i bambini denutriti svilupperanno più probabilmente varie malattie in età avanzata. Ad esempio, bassi tassi di crescita prima della nascita sono legati allo sviluppo di malattie coronariche, ictus, diabete e ipertensione in età avanzata. Queste associazioni sono spiegate da un fenomeno noto come programmazione.

Secondo la letteratura medica, feti, neonati e/o bambini esposti a quantità eccessive di fluoro nei primi anni di vita potrebbero sviluppare conseguenze in età adulta. Non conosciamo, tuttavia, il meccanismo con cui il fluoro lascia impronte durature sul corpo e come possa dare origine a malattie in età avanzata.

La fluorosi dentale.

Modiche quantità di fluoro favoriscono la formazione di fluorapatite come spiegato sopra. In questo caso i tessuti dentali hanno un aspetto normale e sono più resistenti dal punto di vista termodinamico. Quantità ancora superiori causano un livello altissimo di accumulo di ioni fluoruro sui tessuti dentali fino ad alterarli fisicamente

Nella fluorosi dentale il bianco opaco dello smalto è causato da una superficie dello smalto ipomineralizzata. Nella fluorosi dentale più grave, si verifica la formazione di pori e perdita della superficie dello smalto e si sviluppa una colorazione secondaria marrone. Molti dei cambiamenti causati dal fluoro in eccesso sono correlati alle interazioni cellula/matrice/minerali durante la formazione dei denti.

Quindi, il fluoro per i denti dei bambini può diventare addittura dannoso per i denti stessi.

Applicazioni di fluoro.

L’applicazione di fluoro sui denti presso il vostro dentista non ha particolari controindicazioni e favorisce la prevenzione della carie. Questo è il modo giusto di usare il fluoro per i denti dei bambini (e anche degli adulti in alcuni casi).

Ma il fluoro (in ridotte quantità) è necessario come nutriente?

Sorprende riscontrare che F¯ non è un nutriente essenziale in quanto non è possibile definire alcuna funzione fisiologica per la quale è richiesto. E questo dovrebbe farci riflettere molto bene.


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covid e denticovid e denti

Che c’entrano i denti con il Covid?

Immaginare gli organi come entità separate fa comodo. Aiuta a semplificare. Questo è molto utile in alcuni ambiti, specie didattici. Ma la realtà è ben diversa. Gli organi del corpo umano sono, anche se in distretti diversi e distanti, interconnessi da molteplici punti di vista (circolatorio, nervoso, linfatico, endocrino, batteriologico, posturale e così via). Quindi, è ovvio che alcune condizioni patologiche (se non tutte) sono collegate. Questo è confermato già da un’ampia letteratura scientifica. Anche per il Covid-19 e i denti vale la stessa regola.

È interessante, anche per la sua qualità narrativa, oltre che per l’autorevole pubblicazione su Nature, l’editoriale di Tiên Nguyễn intitolato Investigating the mouth–COVID connection

L’articolo evidenzia come gli studi hanno iniziato a collegare il COVID-19 grave a reazioni immunitarie chiamate tempeste di citochine – rilasci eccessivi di molecole infiammatorie da parte del sistema immunitario – che si verificano anche nelle persone con malattie gengivali.

La parodontite ed il COVID-19

Un’altro meccanismo patologico che lega coronavirus e denti è l’infiammazione creata dai batteri che attaccano le gengive e l’osso intorno ai denti. La malattia parodontale (vedi il post su le tasche gengivali) si verifica con l’accumulo di batteri e tossine sulle superfici radicolari dei denti. È la risposta infiammatoria mediata dalla citochine che distrugge il tessuto gengivale adiacente. Il meccanismo patologico è identico a quello della malattia da Sars-Cov-2.

La malattia gengivale è collegata anche ad una serie lunghissima di altre condizioni infiammatorie. Citiamo, tra queste, malattie cardiache, broncopneumopatia cronica ostruttiva e artrite.

La scoperta potrebbe avere importanti implicazioni per i consigli di salute pubblica. Fattori di rischio come il diabete e l’ipertensione richiedono farmaci e cambiamenti nello stile di vita. Le malattie gengivali meno gravi, al contrario, possono essere gestite anche solo con filo interdentale e uno spazzolino da denti.

L’analisi delle malattia parodontale come fattore di rischio per la malattia da COVID-19 evidenzia senza ombra di dubbio un forte correlazione. Chi soffre di questa condizione 3,5 volte più probabilità di essere ricoverato in un’unità di terapia intensiva, 4,5 volte più probabilità di essere sottoposto a ventilazione e 8,8 volte più probabilità di morire rispetto alla popolazione generale.

Inoltre, i campioni di sangue di persone con COVID-19 per diversi biomarcatori noti di infiammazione e ha osservato livelli significativamente più elevati di infiammazione in quelli con malattie gengivali.

Ma trovare una correlazione è solo il primo passo per capire come la salute orale influisca sul COVID-19
Ad esempio, dice, gli scienziati hanno studiato per decenni l’associazione tra parodontite e malattie cardiache e non conoscono ancora il preciso meccanismo di collegamento tra le due condizioni croniche.

Il virus in bocca

Il Covid-19 attacca anche in modo diretto i denti ed i tessuti orali.

Essendo la più grande apertura al corpo, la cavità orale è ben attrezzata con varie difese immunitarie per gestire i patogeni. Tuttavia, i ricercatori hanno visto nei set di dati di sequenziamento dell’RNA che le cellule nella bocca esprimono le proteine ​​ACE2 e TMPRSS2, entrambe necessarie a SARS-CoV-2 per entrare e infettare le cellule ospiti.

Nelle persone con infezioni acute da COVID-19, nonché nelle autopsie di persone morte con la malattia. I ricercatori hanno confermato la presenza delle due proteine ​​di ingresso, nonché delle cellule infette da SARS-CoV-2 nelle ghiandole salivari e nella membrana mucosa che riveste la bocca, in oltre la metà dei pazienti. Sorprendentemente, esistono alti livelli di replicazione virale in alcune cellule delle ghiandole salivari.

Trasmissione dalla bocca

Le prove che dimostrano che la bocca ospita SARS-CoV-2 sono solide e data la presenza del virus in bocca, è possibile che le strategie per abbassare la carica virale in bocca possano ridurre la trasmissione virale.

Il collutorio, in uno studio randomizzato e controllato su circa 200 persone, i ricercatori hanno valutato l’efficacia di quattro diverse soluzioni di collutorio. Hanno scoperto che dopo 15 minuti, tutti e quattro i collutori hanno ridotto la carica virale nei campioni di saliva dei partecipanti fino all’89% e poi fino al 97% dopo 45 minuti.

Gli autori suggeriscono che il collutorio potrebbe aiutare a sopprimere il contagio e ridurre il rischio di trasmissione di SARS-CoV-2 durante gli esami dentistici. Anche se è una pratica relativamente semplice, dice Kumar, solo il 12% circa dei dentisti americani somministra colluttori pre-procedurali.

Anche il semplice collutorio, quindi, è un’arma che indebolisce il legam tra Covid-19 e i denti.

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tasca gengivaletasca gengivale

Cos’è una tasca gengivale?

In un condizione di salute il dente è circondato per tutto il suo perimetro dalla gengiva e tra la gengiva ed il dente esiste un solco la cui profondità non supera i 3 mm. Quando questa misura viene superata a causa di condizioni patologiche e soprattutto in presenza di sintomi e segni di malattia, tra i quali il più importante è il sanguinamento, si usa il termine tasca gengivale (o parodontale).

La tasca è una delle caratteristiche cliniche più importanti della malattia parodontale.

In alcune condizioni il solco gengivale è approfondito anche in assenza di malattia parodontale (per esempio le pseudotasche per la gengiva ispessita dietro agli ultimi molari). Tuttavia, anche questa condizione anatomica deve essere monitorata e talvolta corretta.

Cosa c’è dentro le tasche?

La tasca gengivale (in caso di malattia parodontale attiva) è essenzialmente un sito infetto, all’interno del quale avviene una proliferazione indisturbata di batteri detti parodonto-patogeni. Questi nel tempo si organizzano anche in concrezioni solide (tartaro). Il tartaro si forma dalla placca batterica (biofilm) ed è ricoperto dalla stessa. Questo avviene anche perché è difficile arrivare con le setole dello spazzolino o con altri presidi d’igiene dentale in profondità.

Le tasche contengono placca batterica e tartaro.

La tasca gengivale fa male?

Più spesso la risposta è no. Questo è il motivo per il quale è sempre consigliabile fare un controllo almeno ogni anno presso lo studio del vostro dentista. Un segno molto importante da non sottovalutare mai è il sanguinamento gengivale (per esempio durante lo l’uso dello spazzolino).

Cosa rischio se non le curo?

La malattia parodontale è molto insidiosa e può portare alla perdita dei denti quasi senza che ce ne accorgiamo. Quando i denti iniziano a muoversi più del normale spesso è troppo tardi.

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all on 4all on 4

All On Four…ma che vuol dire?

Letteralmente “all on four” si traduce come tutto su quattro, dove tutto sta per tutti i denti di un’arcata e quattro sta per il numero di impianti endossei di sostegno.

Si tratta di una metodica sviluppata da dal dentista portoghese Paulo Maló e introdotta sul mercato dall’azienda produttrice di impianti Nobel Biocare. Le caratteristiche salienti di questa tecnica sono:

  • Il ridotto numero di impianti (rispetto alle metodiche tradizionali che prevedono almeno 6 impianti per arcata).
  • La possibilità di evitare gli innesti ossei utilizzando degli attacchi che permettono di inclinare gli impianti (in particolare i posteriori) per utilizzare al massimo l’osso residuo.
  • Il fatto che grazie alla lunghezza e posizione degli impianti nella maggioranza dei casi è possibile consegnare una protesi fissa a carico immediato contestualmente all’inserimento degli impianti stessi.
  • Il costo contenuto rispetto alle soluzioni tradizionali.

Quindi questa è la soluzione perfetta per chi ha perso i propri denti?

La risposta è complessa. Sicuramente per alcuni la tecnica All On Four è un’ottima soluzione. Tuttavia, ogni paziente ha la sua storia clinica, le sue caratteristiche anatomiche e così via. Non siamo tutti uguali. Le nostre aspettative non sono tutte sovrapponibili.

Ho visto su internet che fanno gli All On Four a 3xxx euro tutto compreso e fanno tutto in un giorno…

Esistono offerte commerciali molto contenute su queste procedure. Quello che bisogna sempre verificare è il tipo di protesi che viene consegnata.

Solitamente, si tratta di un provvisorio in resina con una barra metallica di rinforzo.

La sistematica all on four originale prevede che questa protesi immediata sia sostituita dopo il periodo di osseointegrazione degli impianti (6 mesi) con una nuova protesi più resistente e duratura, generalmente anch’essa in resina.

Spesso, però, questa parte della procedura viene disattesa ed il provvisorio diventa definitivo.

E allora? Che cambia se tengo il provvisorio?

Quello che è necessario considerare a questo punto è che i medici dentisti che usano questa metodica recente si stanno rendendo conto con l’esperienza che in alcuni casi (non sempre) le protesi definitive all on four – dette anche toronto bridge – sono particolarmente fragili. I distacchi dei denti, per esempio, sono piuttosto frequenti e rappresentano un problema se si tratta della parte anteriore del ponte.

Ovviamente, i provvisori sono per loro natura più deboli e più inclini ai problemi meccanici.

Un’altro problema del provvisorio è legato alla sua detergibilità. La protesi definitiva è più sottile e conformata in modo più preciso per evitare l’accumulo di cibo e l’alitosi.

Mi hanno proposto di togliere tutti i denti e fare un All On Four. Che faccio?

È difficile rispondere a questa domanda che ai non addetti ai lavori può sembrare banale.

Sostanzialmente, se i denti sono pochi e con una cattiva prognosi a breve e medio termine, l’opzione dell’estrazione totale deve essere considerata, sempre nell’ambito di un piano di trattamento che prenda in considerazione tutte le caratteristiche biologiche ed anatomiche di quel paziente. Questa opzione, tuttavia, deve essere presa in considerazione esclusivamente dopo aver valutato tutte le possibilità di curare anche i denti con una prognosi sfavorevole.

Se è possibile curare i denti, anche solo per settori, questo è sempre preferibile.

Quando questo non è realizzabile ed è necessario estrarre, l’All On Four diventa una delle opzioni terapeutiche possibili, ma non di certo l’unica. Per maggiori informazioni, chiedete al vostro dentista di fiducia.

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bite plane placca di svincolobite plane placca di svincolo

Cos’è il Bite Dentale?

Prima di tutto definiamo il termine Bite Dentale (o byte). E vedremo che non è affatto semplice.

In questo termine generico si fanno rientrare dispositivi molto diversi tra loro,

tra cui: 1) La mascherina “stampata” semplice o “nightguard” che è un foglio di materiale plastico spesso circa 1-1,5mm stampato sottovuoto a caldo sul modello dell’arcata dentaria rilevato con un’impronta tradizionale o realizzato con una stampante 3D sulla base di una scansione intraorale digitale. 2) Il bite dentale preformato da banco, disponibile in farmacia e adattabile a tutte le arcate previa immersione in acqua calda. 3) La placca di svincolo realizzata in laboratorio e denominata Michigan Spint, di cui esistono diverse varianti, e che rimane l’unica con solide basi scientifiche, come dimostato dall’ampia bibliografia. 4) La placca a piste di Planas (e i suoi derivati), che corregge alcune malocclusioni secondo i principi della Riabilitazione Neuro-Occlusale (R.N.O.). 5) Gli apparecchi ortodontici di silicone morbido che si usano per trattare alcuni casi di disallineamento, alcuni disturbi occlusali, il russamento e le apnee notturne, nell’ambito delle terapie ortodontiche.

La disomogeneità dei trattamenti

La terapia con il bite dentale si presta particolarmente ad interpretazioni eterogenee ed individualiste. Infatti, sia dal lato patologico che dal lato dei risultati clinici, è di difficile interpretazione. E anche terapie disordinate portano spesso un buon risultato, almeno nel medio termine, semplicemente grazie al cambiamento dell’equilibrio muscolare.

Si leggono anche argomentazioni molto particolari.

Di fatto, la motivazione clinica che conduce alla terapia con bite dentale, solitamente è riconducibile all’usura dentale, alla sintomatologia dell’articolazione della mandibola (articolazione temporomandibolare o ATM) o alla sintomatologia muscolare con o senza mal di testa (cefalea). E non è difficile ottenere qualche risultato clinico con qualsiasi apparecchio. Gli apparecchi corretti offrono maggiore confort ed efficacia.

Vediamo di seguito le indicazioni terapeutiche.

Secondo la Treccani, il bruxismo è l’Abitudine di serrare e digrignare i denti in una serie di movimenti involontari ritmici e spasmodici della mandibola durante il sonno: causata per lo più da situazioni psichiche particolari (tensioni emotive, frustrazioni, stati di ansia ecc.), può a sua volta essere causa di malocclusione dentale.

La definizione è accurata, anche se la malocclusione è di solito la causa primaria.

Le conseguenze del bruxismo sono: 1) abrasioni, usure, scheggiature, incrinature, e sensibilità dentali, 2) dolori e tensioni del viso e mascellari, 3) cefalea, 4) lussazione, blocco e/o click dell’ATM e 5) danni alla mucosa interna della guancia e sui bordi della lingua.

La Malocclusione (occlusione patologica)

Con occlusione dentale si intende non solo il modo in cui i denti delle due arcate si toccano tra loro, ma, in ultima istanza, il modo in cui la mandibola articola con il cranio. Infatti, l’articolazione temporomandibolare (ATM) è anatomicamente una diartrosi, e più specificamente un’articolazione di tipo ginglimo-artrodiale che permette alla mandibola di collegarsi in modo funzionale alla base del cranio. Tuttavia, la funzione dell’ATM è ben lontana da essere solo articolare ed è il risultato dei seguenti componenti: 1) articolazione anatomica, 2) articolazione dentale (occlusione o contatti tra le due arcate) 3) equilibrio neuromuscolare fino alla muscolatura sottomandibolare (iodea), del collo ed oltre 4) tempo (la situazione non è mai statica ma cambia nel tempo). Il movimento della mandibola è il risultato di tutti questi fattori, sia in fisiologia che in patologia.

Il termine malocclusione è in realtà superato.

Classicamente, si definisce maloccusione un’alterato allineamento dei denti rispetto alle classi di Angle anche in assenza di patologia. Si parla quindi piuttosto di occlusione patologica quando dai rapporti occlusali dei denti origina una patologia dei tessuti di supporto in senso lato.

L’occlusione patologica è una delle cause scatenanti del bruxismo.

La cefalea e il bite dentale

Il mal di testa, il bruxismo, le patologie dell’ATM e l’occlusione patologica sono strettamente collegati tra loro. Il 70% dei pazienti con cefalea hanno una concomitante patologia dell’articolazione dentale. La cefalea di origine occlusale di dice muscolo-tensiva, perché origina da dolori muscolari generati, in ultima analisi, dall’occlusione patologica. Come sempre, in questi casi è sempre difficile stabile il collegamento tra le due patologie.

Allo stesso modo, è difficile dimostrare l’efficacia del bite nella terapia della cefalea muscolo-tensiva. Le recenti ricerche evidence-based ridimensionano di molto l’efficacia del bite (inteso come placca di svincolo fabbricata in laboratorio) in questo campo specifico. Secondo questi studi, gli effetti positivi del bite sulla cefalea esistono ma solo a breve termine. Nel lungo periodo, l’efficacia è sovrapponibile a quella della terapia fisica (fisioterapia) e della terapia farmacologica.

In ultima analisi, quindi, la placca di svincolo è un ausilio alla terapia della cefalea muscolo-tensiva, nell’ambito di un trattamento multi-disciplinare.

La prevenzione dell’usura

In questo campo, qualsiasi tipo di bite, purché indossato con regolarità ha un ottimo successo clinico, semplicemente perché si interpone tra le arcate. La mancanza di contatto diretto tra i denti ha un effetto protettivo straordinario.

L’usura patologica dei denti avviene per abrasione, attrito, erosione e abfrazione (anche abfrattura).

L’ abrasione è l’usura prodotta dall’interazione tra denti e altri materiali, l’attrito è l’usura per contatto dente-dente, l’erosione è la dissoluzione del tessuto duro da parte di sostanze acide (per es. cibi acidi). Un ulteriore processo detto abfrazione o abfrattura potrebbe potenziare l’usura per abrasione e/o erosione e si localizza sul colletto dei denti. Sia le osservazioni cliniche che quelle sperimentali suggeriscono che i meccanismi di usura individuali raramente agiscono da soli ma interagiscono tra loro. L’interazione più importante è il potenziamento dell’abrasione da parte del danno erosivo ai tessuti duri dentali. Questa interazione sembra essere il fattore principale nell’usura occlusale e cervicale.

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